Sono mesi che vorrei scrivere del tavolino di Paul Auster.
Lo chiamo cosi' perche' e' degno della trilogia.
Un tavolino insignificante come si nota dalla foto, posto all'ingresso del mio building.
Le prime volte ci passavo vicino e avevo quasi uno scatto di nervosismo per il disordinato insieme di cose che ospitava.
C'e' voluto tempo per capire.
E' un vuoto "metropolitano" che si riempe di nevrosi abbondonate, a disposizione del prossimo.
Spiego.
Devi buttare qualcosa che non ti paartiene piu' ma ti dispiace perche' senti che potrebbe avere una seconda possibilita'?
In un contesto normale, con un appartamento normale lo metteresti nello sgabuzziono e amen.
A New York, i contesti non sono mai normali e lo sgabuzzino non esiste.
Ogni centimentro quadrato e' utile.
Cosi' si arriva alla decisione di eliminare qualcosa.
Ma ... non nella spazzatura ma bensi' sul tavolino di paul.
Si mette li'. A qualcuno servira' ancora.
Quell'oggetto vivra' nella vita di qualcun'altro.
Il senso di colpa e' attenuato.
Ci ho visto scarpe, libri, riviste, dischi, tavolini (uno e' il mio attuale comodino), pezzi di libreria, ferri da stiro.
Di tutto.
Cravatte, magliette, cappelli, occhiali.
E poi c'e' la posta.
Tutto quello che non si riesce ad infilare nelle cassette finisce li', in attesa.
Ogni giorno il panorama cambia e c'e' sempre qualcosa di interessante.
Per esempio quando un "pazzo" di Pavia manda dei film di Hong Kong a New York ad uno sconosciuto, quelli vengono adagiati sul tavolino di Paul Auster.
E' ormai un fedele compagno, il tavolino.
Raccoglie e distribuisce le diversita'.
For free. what's better?
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2 comments:
non "pazzo" ed ex-sconosciuto.
Vorrei essere ad un live dei Pavement.
well, you know what I meant ...
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